Nel maggio 2023, la Seconda Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha pubblicato una sentenza che si appunta sulle modalità di raccolta dei dati personali da parte della comunità religiosa dei Testimoni di Geova.

La CEDU, dunque, pronunciandosi in riferimento alla causa Testimoni di Geova contro Finlandia (ricorso n. 31172/19) ha stabilito che la decisione che vieta alla comunità religiosa dei Testimoni di Geova di raccogliere e trattare dati personali durante la predicazione porta a porta senza il consenso degli interessati non costituisce una violazione dell’articolo 9 della CEDU.

I fatti di causa sono complessi e risalenti nel tempo. Difatti, all’origine della controversia, vi è una decisione del Garante per la Protezione dei Dati Personali finlandese che nell’ottobre del 2000 aveva emesso un parere relativo alle pratiche di raccolta dei dati personali da parte della comunità religiosa, indicando, tra le altre cose, che il trattamento avrebbe dovuto essere perfezionato esclusivamente dietro il consenso degli interessati. Nel 2011, alcuni cittadini finlandesi hanno presentato un reclamo al Garante lamentando che i Testimoni di Geova compilavano un elenco nel corso della predicazione porta a porta. Detto elenco, risultava essere un archivio di dati personali, come anche confermato dalle congregazioni locali della comunità, in cui erano riportati nomi e indirizzi delle persone che non desideravano essere visitate dai Testimoni di Geova (§2-5 della sentenza).

Il caso è stato sottoposto all’attenzione del Data Protection Board finlandese, che ha stabilito che ai Testimoni di Geova era vietato raccogliere dati senza soddisfare i requisiti generali per il trattamento dei dati personali stabiliti dalla legge, cioè senza che i dati fossero stati raccolti a seguito dell’inequivocabile consenso dell’interessato. Inoltre, è stato ordinato alla comunità di adeguarsi a dette disposizioni nel termine dei sei mesi. I Testimoni di Geova, opponendosi all’ordine in questione, chiedevano al Tribunale di prime cure, il Tribunale Amministrativo di Helskini, che la raccolta dei dati personali non venisse considerata per scopi religiosi, bensì personali o privati (§12-14). Infine, il caso è arrivato alla Corte Amministrativa Suprema Finlandese che, nel 2016, ha sospeso il procedimento e, ex art. 267 TFEU, ha rinviato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

La Grande Camera della Corte di Giustizia, nel 2018, si è pronunciata nella causa Jehova todistajat, C-25/17, sanzionando le modalità di raccolta dei dati della comunità religiosa. Basando la propria posizione anche sulle conclusioni rassegnate nel caso Lindvist (C-101/01), la CGUE ha ritenuto che il trattamento venisse effettuato per scopi di evangelizzazione, non rientranti, quindi, nelle eccezioni per uso privato o domestico. La Suprema Corte finlandese ha concluso ritenendo la comunità fosse da considerarsi il titolare del trattamento (§29), senza procedere a ulteriore ascolto delle parti.

Avverso a tale sentenza, la comunità religiosa lamentava dinanzi alla CEDU la violazione degli articoli 6 (diritto a un equo processo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione) 10 (libertà di espressione) e 14 (divieto di discriminazione), e dell’articolo 1 del Protocollo n. 12 (divieto generale di discriminazione) della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. La comunità ricorrente ha si è dogliata, in particolare, della mancanza di un’udienza orale nel procedimento nazionale, e che tale passaggio fosse considerabile una violazione del diritto al giusto processo, e che il divieto di prendere appunti senza il consenso dell’interlocutore durante l’evangelizzazione violasse la libertà di religione dei membri della comunità.

Con riferimento al primo motivo del ricorso, la CEDU ha stabilito che ai Testimoni di Geova era stata fornita ogni modalità prevista dall’ordinamento per comunicare la propria posizione e le rispettive difese nei giudizi di cui si discute (§56-58). In merito al secondo punto, la CEDU, richiamando in più punti la giurisprudenza della CGUE (si veda in part. §55-56; 85-88), ha stabilito che l’obbligo di ottenere il consenso degli individui di cui i Testimoni di Geova avevano trattato i dati ha interferito con il diritto di cui all’art. 9. Tale interferenza, tuttavia, nel pieno rispetto della riserva di legge, è stata ritenuta accettabile, in quanto stabilita dal Data Protection Act (ossia, la norma finlandese con cui venne recepita la Direttiva 95/46/EC).

Inoltre, la Corte ha ritenuto che le restrizioni avessero lo scopo legittimo di proteggere “i diritti e le libertà altrui”, ai sensi dell’articolo 9 par. 2 della Convenzione. Dette limitazioni, dunque, sono state ritenute necessarie per una società democratica e sono previste proprio per proteggere i diritti degli altri in relazione al trattamento dei loro dati personali. Da ultimo la CEDU non ha riscontrato alcuna prova di una repressione della libertà di religione e ha concluso che i tribunali nazionali avevano adeguatamente bilanciato gli interessi in competizione: “ il requisito del consenso della persona interessata deve essere considerato una salvaguardia appropriata e necessaria al fine di prevenire qualsiasi comunicazione o divulgazione di dati personali incompatibili con le garanzie dell’articolo 8 della Convenzione nel contesto della predicazione porta a porta da parte di singoli Testimoni di Geova. In assenza di argomentazioni convincenti da parte della comunità ricorrente, la Corte non riesce a capire in che modo la semplice richiesta e ricezione del consenso dell’interessato possa ostacolare l’essenza della libertà di religione della comunità ricorrente” (§95 della sentenza).

La vicenda in esame, pur presentando delle complessità dal lato procedurale, da un lato, pare interessante per ribadire l’importanza del consenso dell’interessato, che può perfino giungere a comprimere la libertà religiosa altrui; dall’altro, richiama l’attenzione dell’interprete sul rapporto tra CEDU e CGUE, le quali si trovano spesso su piani paralleli per tematiche e soluzioni. È sicuramente un caso degno di nota che la prima basi molti dei principi sottesi al caso in esame sulla giurisprudenza della seconda, valutando positivamente il ruolo del consenso dell’interessato e, più in generale, della protezione dei dati personali nel bilanciamento con altri diritti giuridicamente rilevanti, quale la libertà religiosa.