È del 10 novembre la notizia dell’approvazione di un emendamento al disegno di legge di conversione del d.l. 21 settembre 2021, n. 127, ormai noto per avere prescritto gli obblighi e le modalità di controllo delle certificazioni verdi in capo ai datori di lavoro.
L’emendamento in questione prevede espressamente che “al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde Covid-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”.
Norma che senz’altro agevola i controlli e la continuità organizzativa e lavorativa, ma che si scontra con l’orientamento del Garante per la protezione dei dati personali. L’Autorità ha infatti da sempre sostenuto l’assoluto divieto, per il datore di lavoro, di conoscere – anche indirettamente – lo stato vaccinale dei propri dipendenti così come le loro scelte in merito all’adesione o meno alla campagna di vaccinazione anti-Covid19.
La risposta del Garante non ha quindi tardato ad arrivare. Con una nota dell’11 novembre l’Autorità ha invitato il Parlamento a riflettere ulteriormente sulla nuova previsione, anche in vista dell’esame del provvedimento in seconda lettura.
Secondo il Garante, infatti, la prevista esenzione dai controlli – in costanza di validità della certificazione verde – rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del Green Pass. L’assenza di verifiche non permetterebbe, tra l’altro, di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario della certificazione. Verrebbe inoltre meno quella garanzia di riservatezza non solo della condizione clinica del soggetto (in relazione alle certificazioni da avvenuta guarigione), ma anche delle scelte da ciascuno compiute in ordine alla profilassi vaccinale. Infine, il Garante ritiene che il consenso espresso dal lavoratore non possa ritenersi pienamente valido, in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo.
Il Garante ha dunque preso posizione, esprimendo le proprie perplessità ed esercitando quella funzione di consulenza attribuitagli direttamente dal Regolamento (UE) 2016/679. Al legislatore ora la scelta se tenere conto delle considerazioni del Garante o meno ovvero aprire direttamente un dialogo con l’Autorità.